Vuoto, nulla, vacuità by Marcus Boon & Eric Cazdyn & Timothy Morton

autore:Marcus Boon & Eric Cazdyn & Timothy Morton [Boon, Marcus & Cazdyn, Eric & Morton, Timothy]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Ubiliber

Freud, la cura e la prassi

Questo richiamo all’inconscio politico ci introduce al nostro terzo ambito: alla prassi psicoanalitica e alla categoria della cura, nonché alla questione di come questa categoria possa essere rivendicata oggi accanto all’illuminazione buddhista e alla rivoluzione marxista. Una critica della prassi ricorre in modo simile in ogni sviluppo chiave della storia della psicoanalisi in cui la pratica clinica di Freud viene messa in discussione o difesa plasmando il modo stesso in cui gli analisti della nuova generazione pensano e teorizzano la psicoanalisi. Si sostiene, per esempio, che Freud non abbia ascoltato con sufficiente attenzione i suoi pazienti e che le sue capacità cliniche siano state offuscate dal suo attaccamento alla teoria. Le speculazioni teoriche di Freud, per altro verso, sarebbero compromesse dalla rapsodicità delle sue esperienze, limitata a un gruppo ristretto di pazienti. Sull’altro fronte, si difende Freud come professionista e teorico esemplare, mentre coloro che pretendono di superare la sua ingegnosa soluzione del problema della prassi non sono altro che carrieristi spinti da ideologie reazionarie o dal semplice desiderio di uccidere il padre. Queste critiche si ripetono in tutta la storia della psicoanalisi: gli psicoanalisti più giovani accusano quelli delle generazioni precedenti di essere stati troppo professionalmente attaccati alle loro teorie e, quindi, di non ascoltare con sufficiente attenzione e creatività i loro pazienti. Jung, Klein, Winnicott, Lacan, Bion, Fromm, Kohut, Mitchell inaugurano ciascuno non solo una via diversa all’ascolto nella pratica clinica, ma introducono anche nuovi termini teorici, e persino stili di scrittura psicoanalitica, espressioni della loro stessa pratica.

La polemica sul problema della prassi ha inizio con Sándor Ferenczi, uno dei primi intimi colleghi e discepoli di Freud. Ferenczi critica Freud per la sua mancanza di “mitezza e indulgenza” sia nei suoi stessi confronti (era stato in terapia da lui) sia nei riguardi degli altri pazienti.92 A questo approccio oppone l’idea della reciprocità dell’analisi, secondo cui l’analista esprime liberamente le proprie emozioni al paziente (non solo quello che è legato al controtransfert, ma anche rivelazioni personali di ogni genere) in modo che sia l’analista sia il paziente possano sentirsi più a loro agio l’uno nei confronti dell’altro e ci si possa concentrare sulla dimensione relazionale dei sintomi del paziente. Questa tesi è spesso considerata come un attacco diretto allo stile di Freud e come il punto di partenza delle relazioni oggettuali kleiniane e di tutte le scuole relazionali e interpersonali successive. Con Ferenczi, dunque, osserviamo l’inizio di uno schema in cui ogni punto della storia della psicoanalisi rivendica a sé il rapporto tra teoria e pratica.

Ma bisogna tornare ancora più indietro, a Freud stesso, alla sua critica della psichiatria e al modo in cui questa disciplina affronta il problema della prassi nell’Europa del XIX secolo. In altre parole, la psicoanalisi nasce dalla critica di Freud alla psichiatria, che considerava il paziente come un ricettacolo passivo di malattie curate dal medico attraverso tecniche e procedure somministrate senza tener conto del vissuto specifico del paziente. Un sintomo isterico di afasia, per esempio, poteva essere trattato con la logopedia o addirittura con la chirurgia cerebrale.

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